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Colpa medica

Colpa medica

| Responsabilità medica – di Antonella Matricardi |

La  responsabilità medica è la responsabilità professionale di chi esercita un’attività sanitaria per i danni derivati al paziente da errori, omissioni o in violazione degli obblighi inerenti all’attività stessa.

1. Nozione

Si ha responsabilità medica quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta dell’operatore sanitario in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria.

Da una tale definizione, solo apparentemente generica in vista degli approfondimenti che seguiranno, emerge primariamente la centralità del delicato rapporto tra l’esercizio del diritto alla salute da parte del cittadino e l’espressione della professione medico-sanitaria in tutte le sue possibili declinazioni: che si svolga autonomamente o in equipe, che intervenga su una determinata patologia o sulla sua possibile insorgenza, il fine ultimo dell’attività in esame coincide con gli obiettivi del processo di guarigione dalla malattia.

Occorre sottolineare pertanto che il concetto di responsabilità medica si riferisce compiutamente all’azione di un sistema composito in cui il soggetto è destinatario di prestazioni mediche di ogni tipo (diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali, ecc.) svolte da medici e personale con diversificate qualificazioni, quali infermieri, assistenti sanitari, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione, ecc.1

La casistica degli interventi medico-sanitari è comprensibilmente ampia perché certamente indirizzata anche a porre in essere tutte quelle metodiche finalizzate ad esempio a lenire la condizione di un malato incurabile o, per ipotesi meno infauste, a prevenire l’insorgenza di possibili patologie con la direzione e diffusione di pratiche di natura sanitaria dimostratesi efficaci nell’esperienza e osservazione quotidiana.

Quando tuttavia gli effetti conseguiti non sono quelli sperati è possibile che ai sanitari possano essere attribuiti, secondo le ipotesi più frequenti, errori diagnostici, terapeutici o da omessa vigilanza e conseguentemente la sussistenza di una responsabilità penale o civile per l’aggravamento della situazione del paziente o addirittura per la sua morte.

Alla luce degli ultimi interventi legislativi di riforma, a cominciare dal D.L. n. 158/2012, convertito con modificazioni nella L. n. 189/2012 (la cd. legge Balduzzi) fino alla recentissima L. n. 24/2017 (legge Gelli-Bianco), la disamina non può prescindere dalla diversa considerazione della relazione tra medico e paziente, peraltro già condivisa dalla precedente evoluzione giurisprudenziale e concentrata sull’importanza della volontà e autonomia del paziente, non più in totale balia delle volontà del professionista.

Più precisamente in materia di consenso informato e di diritto alle cure già l’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1997 prescriveva che un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.

La necessaria acquisizione del consenso informato e il diritto del paziente all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche pertanto richiede ora che l’azione del sanitario possa dirsi legittima in relazione non solo alla congruità degli interventi curativi effettuati, ma anche al corretto assolvimento degli obblighi informativi, in mancanza del quale si profila un particolare aspetto della responsabilità medica.

2. Gli elementi della responsabilità medica in via generale

Prima di trattare i vari profili, oggetto delle recenti riforme in materia, una prima evocazione del concetto di “malpractice” è opportuna per accogliere in via generale gli elementi che concorrono a determinare una non corretta pratica sanitaria con i suoi possibili effetti; risulta quindi evidente nella responsabilità medica, forse più che per ogni altra professione intellettuale, l’incidenza della colpa e del nesso causale tra la condotta posta in essere e l’evento dannoso.

2.1. La colpa

Il concetto di responsabilità attiene dunque all’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dall’illecita condotta, commissiva od omissiva che sia, certamente posta in essere in violazione di una norma.

A seconda dei diversi ambiti operativi della norma stessa può trattarsi di

  • una responsabilità morale, in cui è facile ravvisare la sospensione di principi etici, non meno visibili ma relegati ad un interiore senso valutativo,
  • una responsabilità amministrativo-disciplinare, quando sono violati obblighi relativi al servizio prestato, ai doveri d’ufficio o a regole deontologiche con la conseguente comminatoria di sanzioni dell’ente di appartenenza o dell’Ordine Professionale e infine
  • una responsabilità giuridica per la violazione di una norma penale o civile.
  • Quando dalla propria condotta colposa deriva una lesione personale o la morte della persona assistita il medico (o il sanitario in genere) è chiamato a rispondere del suo comportamento professionale sulla base del concetto di colpa come definito dall’art. 43 del codice penale secondo cui deve ritenersi colposo (o contro l’intenzione) un evento che, anche se previsto, non è voluto dall’agente ma che si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

    La colpa è quindi generica se sussiste

  • la negligenza, ossia superficialità, trascuratezza, disattenzione. Esempi tipici possono riguardare il medico che prescrive un farmaco al posto di un altro o del chirurgo che non si accorge della mancata rimozione di corpi estranei in un campo operatorio;
  • l’imprudenza, che può riferirsi alla condotta avventata o temeraria del medico che, pur consapevole dei rischi per il paziente, decide comunque di procedere con una determinata pratica;
  • infine l’imperizia, che coincide con la scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.
  • La colpa specifica invece consiste nella violazione di norme che il medico non poteva ignorare e che era tenuto ad osservare quali espressioni di legge o di un’autorità pubblica/gerarchica, disciplinanti specifiche attività o il corretto svolgimento delle procedure sanitarie.

    Come accennato, l’errore del medico può essere compiuto nella fase diagnostica, in quella prognostica e nella fase terapeutica.

    L’errore diagnostico si realizza nel non corretto inquadramento diagnostico della patologia, a cominciare ad esempio dalla imprecisa raccolta dei dati anamnestici, laddove invece doveva essere esattamente eseguita e valorizzata per il completamento del quadro clinico (il paziente è allergico a varie sostanze ma il medico dimentica di annotarle o specificarle, predisponendo superficialmente proprio una terapia sulla base di quei principi attivi).

    Altro errore diagnostico può realizzarsi nella sottostima o addirittura nel mancato rilievo di una certa allarmante sintomatologia, anche se grazie agli esami strumentalie di laboratorio a fini diagnostici e ai percorsi codificati in veri e propri protocolli, l’ipotesi di una diagnosi errata assume oggi una maggiore gravità. 

    Un aspetto decisamente affine e non meno grave è quello del ritardo diagnostico che procrastina a danno del paziente l’esecuzione di necessarie e indispensabili terapie.

    L’errore prognostico deriva invece da un giudizio di previsione sul decorso e soprattutto sull’esito di un determinato quadro clinico che però si rivela sbagliato magari perchè correlato ad errore diagnostico, mentre l’errore in fase terapeutica attiene al momento della scelta del trattamento sanitario o a quello della sua esecuzione. 

    Può verificarsi comunque l’ipotesi in cui, pur in presenza di una corretta diagnosi e di un percorso terapeutico congruamente definito, si sbagli l’esecuzione dell’intervento chirurgico per imperizia o negligenza.

    2.2. Il nesso di causalità

    E’ opportuno anticipare che l’accertamento di una condotta colposa o imperita non è autonomamente sufficiente a ricondurre alcuna responsabilità in capo al sanitario. 

    Il passo successivo richiede che venga individuato un preciso legame, un nesso eziologico tra errore commesso e danno subito dal paziente, perché il secondo possa qualificarsi come diretta conseguenza del primo.

    Su un piano strettamente tecnico la causalità tra condotta ed evento non è sempre pacificamente lineare per la complessità dei fenomeni clinici, spesso condizionati da variabilità soggettive o da un decorso atipico, senza contare che determinate patologie, pur opportunamente trattate, possono comunque presentare complicanze proprie e non dipendenti dalla condotta medica. 

    E’ il caso ad esempio delle terapie dai possibili effetti collaterali “iatrogeni” che sono diretta­mente collegati alla terapia effettuata, ma non riconducibili ad errore medico.

    Difficile, se non addirittura arduo, è spesso per il medico-legale pronunciarsi in termini di certezza assoluta; opportuna risulterà in tali situazioni l’applicazione del criterio sta­tistico-probabilistico a cui comunque si richiede che, soprattutto in materia di colpa omissiva, consenta di indicare il legame tra condotta ed evento con un grado di probabilità molto elevato, se non assai prossimo alla certezza.

    2.3. La responsabilità civile del medico: contrattuale o extracontrattuale?

    Secondo la sua distinzione classica la responsabilità civile può essere extracontrattuale per fatto illecito (qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, art. 2043 c.c.) o contrattuale, quando a norma dell’art. 1218 c.c. la mancata o inesatta prestazione dovuta origina il risarcimento del danno in assenza di una prova a connotare l’impossibilità della prestazione per una causa al soggetto agente non imputabile.

    Sussiste la responsabilità contrattuale nei casi di preesistenza di un rap­porto di tipo obbligatorio, costituito ad esempio per il medico da un con­tratto di lavoro subordinato oppure da un contratto d’opera intellettuale.

    La respon­sabilità extracontrattuale invece esclude il presupposto della contrattualità con il soggetto assistito: l’esempio classico è quello del medico che interviene su un paziente in stato di incoscienza con il quale non ha certo potuto stipulare nell’imminenza dell’intervento alcun tipo di contratto, sorgendo in questi casi l’illecito dalla violazione del principio di carat­tere generale del “neminem laedere”.

    La differenza tra i due titoli di responsabilità risiede anche nell’applicazione di regole diverse per gli aspetti dell’onere della prova, della prescrizione dell’azione, ecc.

    In merito occorre aggiungere che la professione medica rientra nella categoria codicistica delle professioni intellettuali con la connaturata prestazione che è d’opera intellettuale, regolata dall’art. 2230 e ss. c.c. e svolta anche secondo forme organizzative storicamente ispirate dall’affermazione di principi solidaristici, quindi esercenti una funzione pubblica.

    In via generale la prestazione medica contrattualmente precostituita consiste in un’obbligazione di mezzi e non di risultato, per la quale il medico non può garantire la guarigione, impegnandosi piuttosto ad utilizzare i mezzi scientifici più idonei per il raggiungimento del risultato favorevole al paziente.

    Il fallimento di una terapia, un esito infausto della malattia sono effetti che non è possibile ritenere automaticamente consequenziali alla sua attività in mancanza della prova di un nesso che causalmente o concausalmente ricolleghi queste o altre nefaste circostanze ad una condotta professionale inadempiente.

    Così, mentre nella responsabilità contrattuale l’onere della prova ricade, come accennato, sul debitore che è tenuto a dimostrare la riconducibilità dell’inadempienza ad una causa a lui non imputabile, nella responsabilità extracontrattuale è il danneggiato che deve provare l’esistenza dell’illecito, della condotta colpevole, dell’evento di danno e del nesso causale. 

    Occorre precisare tuttavia che in caso di prestazione medico-chirurgica opera sempre di regola, accanto alla responsabilità contrattuale, anche quella extracontrattuale per il rispetto dei valori tutelati della salute e della vita a prescindere da precostituiti obblighi contrattuali.

    A parte la varietà dei comportamenti medici commissivi anche un’omissione o un ritardo diagnostico-terapeutico può provocare un danno al paziente con conseguenze che una tempestiva esecuzione avrebbe evitato o reso meno gravi. 

    In tali ultime ipotesi l’accertamento del nesso causale appare più complicato, perché occorre specularmente stabilire quale incidenza il trattamento doveroso omesso o ritardato avrebbe avuto nel preservare la salute del paziente, in considerazione di componenti imprescindibili, quali ad esempio la va­riabilità di decorso di una certa patologia che, per le sue caratteristiche, potrebbe comunque resistere ad una adeguata e tempestiva attività medica.

    Il giudizio sul nesso causale richiede che si debba fare riferimento a consolidate leggi scientifiche e a criteri di attendibile probabilità statistica, da rapportare al caso concreto per stabilire se la condotta omessa, se correttamente compiuta, avrebbe evitato l’evento dannoso.

    Una penale responsabilità del medico per comportamenti omissivi è pertanto da escludere quando non sussistano, siano contraddittori o incerti gli elementi probatori e ricorra invece un ragionevole dubbio che, in base all’evidenza disponibile, risulti fondato su specifiche risultanze.

    3. Cenni sulla nuova legge sulla responsabilità sanitaria: la riforma Gelli-Bianco

    Il 1° aprile 2017 è entrata in vigore la legge 8 marzo 2017, n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che disciplina fondamentali aspetti del ruolo e delle funzioni del medico, principalmente con l’intento di prevenire il rischio clinico, ridurre il contenzioso sulla responsabilità medica, arginare la fuga delle assicurazioni dal settore sanitario e contenere gli ingenti costi della cosiddetta medicina difensiva.4

    All’art. 1 è subito indicata la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute, perseguita non solo nell’interesse dell’individuo ma anche dell’intera collettività, quindi dotata di dignità normativa in relazione alla tutela individuale, costituzionalmente riconosciuta dall’art. 32 Cost., e al valore dell’erogazione delle prestazioni sanitarie come obiettivo prioritario della sanità pubblica.

    Concorrono a tali obiettivi, unitariamente considerati, le attività di prevenzione del rischio sanitario (cd. clinical risk management), l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative, nonché il personale delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, compresi i liberi professionisti convenzionati, in vista di un’azione coordinata e organizzata di tutti gli operatori del sistema sanitario.

    L’art. 4 poi sancisce l’obbligo di trasparenza per tutte le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private, stabilendo l’obbligo per la direzione sanitaria di fornire, entro i sette giorni successivi alla richiesta di accesso da parte degli interessati, la documentazione sanitaria del paziente.

    L’art. 5, infine, conferma l’evoluzione della codificazione delle linee guida elaborate dalla comunità scientifica, fondamentali per la valutazione in sede penale della condotta del sanitario.

    Nell’esecuzione delle prestazioni gli operatori medici devono seguire le raccomandazioni previste dalle linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali, pubblicate in un apposito elenco istituito e regolato con Decreto ministeriale e inserito nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), da aggiornarsi ogni due anni.

    3.1. La responsabilità penale del medico secondo la legge Gelli-Bianco

    Indubbiamente una delle novità più importanti della L. n. 24/2017 è data dall’art. 6 che riforma la responsabilità penale del medico. Cinque anni prima la legge Balduzzi aveva previsto, per la prima volta, la non punibilità del fatto colposo del medico in presenza del rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e della colpa lieve (art. 3).

    Proprio a tale ultimo proposito, in particolare per le difficoltà sull’interpretazione del concetto di colpa lieve nell’ambito penale, nemmeno una copiosa giurisprudenza di legittimità ha potuto raggiungere un orientamento univoco. 

    La riforma Gelli-Bianco interviene ad abrogare l’art. 3, legge Balduzzi per inserire l’art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) con cui è eliminato il riferimento alla colpa lieve in precedenza richiamato, limitando la scriminante ai casi di colpa per imperizia. 

    Negligenza e imprudenza determinano in ogni caso la punibilità del sanitario anche se la sua condotta era in linea con le indicazioni guida, lasciando il tema della colpa medica privo di certezze interpretative. 

    E’ bene precisare peraltro che la norma in esame si riferisce solo ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose, rimanendo esclusi dalla sua applicazione gli altri reati, quali ad esempio l’interruzione colposa di gravidanza (art. 19 l. 194/78).

    3.2. La natura della responsabilità civile del medico secondo la legge Gelli-Bianco

    In tema di responsabilità civile l’art. 7 introduce una diversa qualificazione delle responsabilità della struttura sanitaria e del sanitario, ritenendo di natura contrattuale la prima ed extracontrattuale la seconda, salvo l’obbligazione contrattuale assunta direttamente dal medico con il paziente.

    La novità è stata indicata come d’innegabile vantaggio per la categoria: nell’azione promossa per responsabilità contrattuale il danneggiato dovrà provare ad esempio le fasi del ricovero e del trattamento e l’inadempimento rappresentato dalla lesione subita, mentre la struttura dovrà dimostrare il corretto o impossibile adempimento della prestazione.

    Diversamente ai sensi dell’art. 2043 c.c. l’onere della prova riguarda l’esistenza del danno, il nesso di causalità con la condotta e la colpa (o dolo) dell’agente. A ciò si aggiunge il minore termine di prescrizione dell’azione extracontrattuale rispetto a quello decennale previsto per l’azione contrattuale.

    Vi è da dire che prima della riforma la giurisprudenza prevalente6 aveva compreso anche il medico nella responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, presente un contatto sociale qualificato tra paziente e professionista, obbligato quest’ultimo, al di là del neminem laedere, da specifiche disposizioni di legge a tutelare la salute del paziente e ad assumere precisi obblighi di protezione.

    Dopo l’entrata in vigore della legge Balduzzi la giurisprudenza di merito7 aveva sostenuto per tale particolare fisionomia del soggetto agente una responsabilità extracontrattuale e così le vigenti disposizioni ora si limitano a prevedere che, esclusi i casi in cui vi sia un rapporto contrattuale tra paziente e professionista, sull’art. 2043 c.c. si basi il criterio attributivo della responsabilità civile sanitaria.

    3.3. La determinazione del danno

    Nella determinazione del risarcimento del danno il giudice deve tenere conto della condotta medica ai sensi dell’art. 5 e dell’art. 590 sexies c.p., come introdotto dal precedente art.6.

    Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 139 del codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n.209/2005), integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto art. 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo.

    In realtà il criterio della condotta rispettosa delle linee guida e delle buone pratiche è obiettivamente rilevante per l’accertamento della colpa (an debeatur) e non è precisato come possa essere applicato anche per la quantificazione del danno (quantum debeatur). Sembrerebbe potersi intendere che l’accertamento della colpa lieve o, all’opposto, di quella grave sia idoneo a giustificare una diminuzione ovvero correlativamente un aumento del risarcimento.

    Senza ulteriori specificazioni sulla sua natura patrimoniale o non, recenti interpretazioni hanno ritenuto possibile attribuire al medico attento alle linee guida, ma comunque in colpa, una diminuzione sul risarcimento in base al criterio equitativo di liquidazione previsto dagli artt. 2056 e 1226 c.c.

    Diversamente si potrebbe recepire un riferimento solo diretto al danno non patrimoniale, nella sua componente morale soggettiva del cd. patema d’animo, con esclusione del danno biologico nella parte in cui deve ormai essere risarcito secondo criteri tabellari vincolanti (secondo il comma 4, art. 7 , l. 24/2017).

    Allo stesso modo anche il danno patrimoniale non potrebbe essere graduato in relazione alla colpa dell’autore, poiché è evidente come la perdita economica subita dal paziente non possa oscillare a seconda della causazione del danno con colpa lieve o grave. 

    Questo tuttavia anche se, come già indicato, un’interpretazione letterale della norma non autorizzerebbe l’esclusione dal suo ambito di una qualche categoria di danno e nemmeno un’eventuale ipotesi di aumento del risarcimento nel caso di mancato rispetto delle linee guida e/o di colpa grave.9

    3.4. Gli aspetti processuali: la deflazione del contenzioso

    Altro obiettivo della riforma Gelli-Bianco è dato dalla riduzione del contenzioso da responsabilità sanitaria. 

    L’art. 8 prevede a tal fine l’introduzione di un tentativo obbligatorio di conciliazione, condizione di procedibilità della domanda risarcitoria, secondo le forme previste dall’art. 696-bis c.p.c. per l’espletamento della consulenza tecnica preventiva o, in alternativa, del procedimento di mediazione (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), esclusa la negoziazione assistita (art.3, L. n. 162/2014).

    Se la conciliazione fallisce o il procedimento non è concluso entro il termine perentorio di 6 mesi, la domanda, da depositarsi entro i successivi 90 giorni, può essere proposta nelle forme del procedimento sommario di cognizione.

    E’ previsto per tutte le parti l’obbligo di partecipazione al procedimento di consulenza tecnica preventiva o alla mediazione: anche le imprese di assicurazione non possono arbitrariamente sottrarsi a tale incombenza, avendo peraltro l’obbligo di formulare un’offerta di risarcimento o giustificarne l’eventuale mancanza a pena di richiesta di intervento all’IVASS. 

    Il giudice peraltro, con la sentenza condanna le parti non intervenute al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio, oltre che ad una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte comparsa; in sede di mediazione invece è prevista una duplice sanzione per le parti non intervenute e la possibilità che la mancata partecipazione assurga ad argomento di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c.

    3.4.1. La scelta procedurale tra mediazione e ATP

    Considerando le caratteristiche delle due forme procedurali va precisato che rispetto all’ATP la mediazione prevede il termine minore di 3 mesi per l’espletamento, mentre l’elaborato conclusivo in sede di accertamento tecnico preventivo potrà essere utilizzato, anche se con determinati limiti, nel giudizio di merito. Se poi la CTU accerti un qualche profilo di responsabilità è intuibile che la compagnia di assicurazione possa formulare una proposta risarcitoria, tenuto conto delle sanzioni previste per la mancata partecipazione al procedimento e per la mancata formulazione dell’offerta.

    In via generale al momento sembrano più frequenti i casi in cui le parti avvalendosi delle conclusioni raggiunte in sede di ATP raggiungano un accordo stragiudiziale. Inoltre l’importanza della consulenza preventivamente ottenuta deriva anche dall’assegnazione allo stesso giudice del successivo giudizio di merito (posto a conoscenza quindi della questione) in cui (se rito sommario) sarà possibile utilizzare pienamente la documentazione e le valutazioni fino a quel momento acquisite.

    3.5. L’azione di rivalsa e di responsabilità amministrativa

    Nei casi in cui venga emesso un provvedimento giudiziale o stragiudiziale che abbia attribuito un risarcimento del danno da “malpractice” l’art. 9 stabilisce termini e modalità per l’esercizio delle azioni di rivalsa e di responsabilità amministrativa a carico dei sanitari da parte della struttura sanitaria e dell’impresa assicuratrice tenute a risarcire il danno ma solo in presenza di dolo o colpa grave.

    Se il medico non ha partecipato alla procedura stragiudiziale o al giudizio di risarcimento, l’azione di rivalsa nei suoi confronti può essere instaurata, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento, senza che possa opponibile in tale sede un’eventuale intervenuta transazione tra le parti.

    Oltre all’azione di rivalsa, sempre nei casi di dolo o colpa grave il medico sarà soggetto ad un’azione di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti che dovrà però intervenire, anche valutando l’incidenza nel caso concreto delle situazioni di particolare difficoltà organizzativa in cui il sanitario ha dovuto operare.

    Infine dall’accoglimento della domanda del danneggiato derivano ulteriori conseguenze per il medico: per tre anni dal passaggio in giudicato della pronuncia egli non potrà essere preposto a incarichi professionali superiori a quello in essere e la decisione potrà incidere negativamente anche in caso di sua partecipazione a concorsi pubblici per incarichi superiori.

    3.6. Aspetti assicurativi, azione diretta, Fondo di garanzia e risk management

    Le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, devono essere provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso i prestatori d’opera, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso di esse e pure per le prestazioni svolte in regime di libera professione intramuraria o in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale o attraverso la telemedicina (artt. 10,11).

    E’ prevista un’ulteriore e specifica copertura assicurativa per la responsabilità extracontrattuale e naturalmente l’obbligo personale di copertura assicurativa per il sanitario che eserciti al di fuori delle strutture o che presti la propria opera all’interno delle stesse in regime libero-professionale o nell’adempimento dell’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, non operando in tali ultimi casi l’obbligo di assicurazione a carico della struttura.

    Il danneggiato potrà infine esercitare azione diretta, entro i limiti del massimale, nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura pubblica o privata e di quella del sanitario che ha eseguito il trattamento entro gli stessi termini di prescrizione dell’azione verso la struttura sanitaria pubblica o privata o verso il sanitario (art. 12).

    L’art. 13 prevede obblighi di comunicazione all’operatore medico per le strutture sanitarie e le imprese di assicurazione circa l’instaurazione del giudizio promosso nei suoi confronti (o dell’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato con invito a prendervi parte) entro dieci giorni dalla notifica dell’atto introduttivo. 

    L’omissione, tardività o incompletezza di tali comunicazioni preclude l’ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui al precedente art. 9.

    La riforma Gelli-Bianco prevede altresì, per i sinistri denunciati per la prima volta dopo la data di entrata in vigore della legge, l’istituzione di un Fondo di garanzia in relazione ai danni derivanti da responsabilità sanitaria nei casi espressamente previsti dall’art. 14.

    Fra le ulteriori novità della riforma è previsto che nei giudizi civili e penali l’espletamento della consulenza tecnica sia affidata a un collegio formato da un medico legale e uno o più specialisti nella disciplina oggetto del procedimento, scelti tra gli iscritti negli albi e che siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi (art. 15).

    Grazie all’art. 16 infine vi è sicuramente la valorizzazione delle cd. pratiche di risk management, preservata la sicurezza delle cure, obiettivo primario dell’attività sanitaria.

    E’ vietato infatti utilizzare al di fuori delle procedure di gestione del rischio clinico i relativi atti, vincolandoli ad una riservatezza interna che dovrebbe maggiormente tutelare gli operatori sanitari ed agevolare una più ampia collaborazione con le istituzioni preposte alla gestione del rischio sanitario. 

    AltalexPedia, voce agg. al 10/05/2018

    Di Antonella Matricardi Professionista – AvvocatoPubblicato il 10/05/2018

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